Ogni videogiocatore ha un nemico nascosto, un’ossessione che può trasformare il piacere di giocare in una vera e propria maratona mentale: la paura di perdere contenuti. Se sei uno di quelli che non riesce a lasciare una moneta non raccolta o un angolo inesplorato, allora sai esattamente di cosa sto parlando. Il completismo, ovvero il desiderio di completare ogni aspetto di un gioco, è una tendenza comune tra i gamer, ma può facilmente diventare una trappola che ci intrappola nei meandri di mondi virtuali sempre più vasti e complessi.
L’origine del completismo: dalle figurine ai primi giochi
Fin da piccoli siamo stati educati all’idea di completare. Chi non ha mai riempito un album di figurine o cercato di completare un puzzle al 100%? Personalmente, il completismo è iniziato con i primi puzzle di Walt Disney e la frustrazione di non riuscire mai a trovare quell’ultimo pezzo mancante. Da quel momento, ogni piccola mancanza diventava un vuoto da colmare. E non parliamo solo dei giochi fisici, ma anche dei primi videogiochi.
Ad esempio, il mio primo incontro con il NES e con Super Mario ha subito messo in evidenza questa tendenza. Odiavo vedere i nemici scorazzare liberi nella mappa o lasciare anche una sola moneta dietro di me. Dovevo distruggere ogni muretto, raccogliere tutto il raccoglibile, altrimenti la mia partita non era completa. E così, da quel piccolo idraulico pixellato, la mia ossessione è cresciuta con il passare degli anni e delle console.
PlayStation e l’ossessione del 100%
Con l’arrivo della PlayStation 1, il completismo ha assunto una forma ancora più impegnativa. Uno dei giochi che ha segnato questa tendenza è stato Crash Bandicoot, un platform che molti ricorderanno con affetto. Crash non era solo un gioco divertente: era un vero incubo per chi, come me, voleva raccogliere tutte le gemme colorate e completare il gioco al 100%. Per ottenere tutte le gemme, non solo dovevi raccogliere tutte le casse senza morire, ma sbloccare percorsi nascosti che avrebbero aperto ulteriori sezioni del gioco.
Ricordo ancora la frustrazione di perdere una gemma a causa di una morte inaspettata, costringendomi a ricominciare da capo. E questo non è stato un caso isolato. Molti giochi di quell’epoca richiedevano una pazienza infinita per essere completati al massimo, e io non potevo fermarmi finché non vedevo quel 100% sullo schermo.
La rivoluzione degli Open World: troppi contenuti, troppo tempo
Con l’evoluzione dei videogiochi, il completismo ha trovato un nuovo campo di battaglia: i giochi Open World. Uno dei primi titoli che ha davvero messo alla prova la mia pazienza è stato GTA San Andreas. In questo gioco, non si trattava solo di collezionare oggetti sparsi per la mappa: c’erano missioni secondarie, gare, attività extra, e persino relazioni da gestire. San Andreas è stato il primo gioco che mi ha fatto capire quanto fosse impegnativo completare un Open World al 100%.
Il problema principale? Non sapevi mai esattamente quali attività servissero per ottenere il completamento totale, e questa incertezza mi ha spinto a passare ore e ore alla ricerca di quel maledetto 1% mancante. Ho persino fatto ricerche su internet nei computer della scuola, perché l’idea di lasciare qualcosa di incompleto mi faceva perdere il senno.
The Witcher 3: il punto di rottura
Nonostante l’esperienza con GTA, ho continuato a cercare di completare ogni gioco al massimo, finché non ho incontrato The Witcher 3. Questo gioco è stato una vera e propria svolta nella mia carriera di gamer. Con un mondo vastissimo e una quantità infinita di missioni, punti interrogativi e collezionabili, The Witcher 3 mi ha portato oltre il limite.
Non riuscivo a finire una missione senza prima pulire l’intera mappa da ogni punto interrogativo. Il problema è che ogni volta che risolvevo un enigma, ne apparivano altri. Il gioco, pur essendo un capolavoro, è diventato per me una sorta di prigione. Dopo oltre 300 ore di gioco, ho abbandonato The Witcher 3 senza mai completarlo. Il mio desiderio di fare tutto mi aveva completamente esaurito.
Imparare a lasciare andare
Oggi, dopo anni passati a inseguire il completismo, ho imparato che a volte è meglio lasciar andare. Non tutti i giochi devono essere completati al 100%. Non ogni moneta deve essere raccolta, né ogni missione secondaria portata a termine. L’importante è godersi il viaggio, senza lasciare che l’ossessione per i dettagli rovini l’esperienza complessiva.
Se ti riconosci in questa descrizione, sappi che non sei solo. Il completismo è una trappola in cui molti videogiocatori cadono. Ma c’è una via d’uscita: accettare che non tutto deve essere completato e che va bene così.
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