Il mondo dei videogiochi che conosciamo oggi, con un’industria multimiliardaria, competizioni a livello globale e una base di appassionati sempre crescente, non è sempre stato così solido e fiorente. Se oggi i videogiochi sono una delle forme d’intrattenimento più popolari al mondo, ci fu un tempo in cui questa industria rischiò di collassare completamente, un evento oggi noto come l’Atari Shock. La crisi del 1983 segnò la fine di un’epoca e ridimensionò drasticamente un mercato che, nel giro di soli tre anni, passò da miliardi a pochi milioni di dollari. Ma cosa ha scatenato questa crisi? Quali sono state le cause profonde e, soprattutto, come si è risollevata l’industria videoludica da un tale disastro?
In questo articolo, esploreremo i fattori che portarono al crollo dell’industria dei videogiochi, focalizzandoci in particolare sull’influenza di Atari, una delle aziende più iconiche dell’epoca, e sull’evoluzione del mercato che alla fine ha portato alla sua rinascita.
L’era d’oro delle console e l’ascesa di Atari
Negli anni ’70, i videogiochi erano ancora un fenomeno di nicchia, limitato principalmente alle sale giochi e ai primi personal computer. Tuttavia, tutto cambiò con l’arrivo dell’Atari VCS (Video Computer System), nota anche come Atari 2600, lanciata nel 1977. Questa console rivoluzionaria permise ai giocatori di portare a casa l’esperienza delle sale giochi, permettendo di giocare ai propri titoli preferiti direttamente dalla comodità del salotto.
Il successo di Atari 2600 fu in gran parte dovuto ai giochi iconici che divennero subito dei classici, tra cui Asteroids, Space Invaders e Pole Position. Space Invaders, in particolare, fu uno dei primi giochi a essere convertito con successo dall’arcade alla console domestica, vendendo milioni di copie e diventando uno dei titoli più importanti della storia dei videogiochi. L’Atari 2600 fu una console di tale successo che non solo divenne il simbolo dell’intero settore, ma gettò le basi per quello che sarebbe stato un vero e proprio boom di console domestiche.
Sull’onda del successo di Atari, altre aziende cominciarono a entrare nel mercato. Intellivision, ColecoVision e Odyssey erano alcune delle console che cercavano di strappare fette di mercato ad Atari. Tra queste, la ColecoVision emerse come il principale rivale grazie all’acquisizione dei diritti per il porting di Donkey Kong, un titolo arcade che era tra i più popolari del tempo.
L’esplosione del mercato delle console e i primi segnali di crisi
Il boom delle console all’inizio degli anni ’80 sembrava inarrestabile. La domanda per nuovi videogiochi era enorme e cresceva rapidamente. Nel 1982, l’incremento della domanda per console e giochi da casa fu del 100%, ma l’offerta superò di gran lunga la domanda, con i produttori che aumentarono la produzione del 175%. Questa crescita sproporzionata portò a una saturazione del mercato. Con troppe console e giochi disponibili, i consumatori si trovarono di fronte a un’offerta soverchiante e disorientante.
Un altro fattore che contribuì alla crisi fu la crescente competizione dei personal computer. Fino a quel momento, i PC erano considerati strumenti esclusivi per la produttività e costavano migliaia di dollari. Tuttavia, all’inizio degli anni ‘80, nuovi modelli di computer, come il Commodore 64 e il Texas Instruments TI-99/4A, cominciarono a farsi strada nelle case dei consumatori. Questi PC non solo erano più economici delle generazioni precedenti, ma permettevano anche di giocare a videogiochi con una grafica e un sonoro superiori rispetto alle console domestiche.
Il Commodore 64 in particolare, grazie al suo prezzo competitivo e alla facilità con cui era possibile copiare i giochi (supportati su cassette audio e floppy disk), divenne una scelta attraente per molti giocatori, contribuendo a ridurre l’interesse verso le console tradizionali. Inoltre, le aziende che producevano personal computer come Commodore puntarono molto sulla pubblicità comparativa, facendo leva sulla versatilità dei PC rispetto alle console. In uno spot televisivo famoso, l’attore William Shatner si chiedeva: “Perché comprare una console solo per giocare, quando puoi avere un computer che ti permette di fare anche altro?”
La combinazione di un’offerta eccessiva di console e giochi, unita all’ascesa dei personal computer, cominciò a far vacillare il mercato. Ma c’era un altro problema all’orizzonte: l’arrivo degli sviluppatori di terze parti.
Il ruolo degli sviluppatori di terze parti e il calo della qualità
Fino alla fine degli anni ’70, i giochi per console venivano sviluppati internamente dalle stesse aziende che producevano le console. Tuttavia, nel 1979, quattro programmatori insoddisfatti di Atari lasciarono l’azienda e fondarono la Activision, che divenne la prima azienda a sviluppare giochi per console senza essere legata a un produttore specifico.
Il successo di Activision dimostrò che era possibile sviluppare giochi di qualità senza essere affiliati a un produttore di console, e presto altre aziende seguirono l’esempio. Tuttavia, non tutte queste nuove aziende avevano l’esperienza necessaria per sviluppare giochi di qualità. Il mercato si riempì rapidamente di titoli scadenti, spesso prodotti da aziende che non avevano alcuna competenza nel settore videoludico, come produttori di cereali o di cibo per animali.
Uno dei problemi principali era che molti di questi nuovi sviluppatori, desiderosi di capitalizzare la crescente domanda di giochi, immettevano sul mercato prodotti di scarsa qualità, creando confusione e insoddisfazione tra i consumatori. Il pubblico si trovò di fronte a un numero enorme di titoli, molti dei quali erano poco giocabili o addirittura non funzionavano correttamente. La fiducia dei consumatori nel mercato dei videogiochi cominciò a calare rapidamente.
Il disastro di E.T. e la leggenda della discarica
Il culmine del disastro fu raggiunto con il gioco E.T. l’extraterrestre per Atari 2600. Uscito nel 1982, il gioco venne sviluppato in appena cinque settimane, nel tentativo di capitalizzare il successo del film omonimo. Tuttavia, il risultato fu disastroso. Il gioco era afflitto da bug e da meccaniche di gioco incomprensibili, rendendolo praticamente ingiocabile. E.T. venne rapidamente etichettato come uno dei peggiori giochi mai realizzati, e il suo fallimento commerciale contribuì in modo significativo alla crisi di Atari.
Il fallimento di E.T. divenne così emblematico che si sviluppò una leggenda metropolitana secondo cui Atari avrebbe sepolto milioni di copie invendute del gioco in una discarica nel Nuovo Messico. Per anni, questa storia rimase una semplice voce di corridoio, fino a quando nel 2014 un team di documentaristi ottenne il permesso di scavare nel sito, scoprendo effettivamente migliaia di cartucce di E.T. e altri giochi invenduti. Questo evento confermò quanto profonda fosse la crisi in cui si trovava Atari e l’intera industria videoludica.
Le conseguenze della crisi: il crollo del mercato videoludico
Il fallimento di E.T. e la sovrabbondanza di titoli scadenti furono i fattori scatenanti di una crisi più ampia. I negozi cominciarono a restituire grandi quantità di giochi invenduti ai produttori, e il prezzo delle cartucce scese drasticamente. Nel giro di pochi mesi, le cartucce che un tempo venivano vendute per circa 35 dollari cominciarono a essere svendute a pochi dollari l’una.
La crisi colpì duramente anche il settore dei videogiochi arcade. Tra il 1980 e il 1982, il numero di sale giochi negli Stati Uniti era raddoppiato, ma con l’avvento della crisi, molte di queste furono costrette a chiudere. Anche quelle che riuscirono a sopravvivere videro i loro profitti diminuire drasticamente.
Il mercato videoludico, che nel 1982 valeva circa 42 miliardi di dollari, si ridusse a soli 14 miliardi nel giro di tre anni. Molte aziende, tra cui Mattel e Magnavox, decisero di abbandonare il settore delle console, mentre Atari, che un tempo dominava il mercato, si trovò in grave difficoltà finanziaria, licenziando migliaia di dipendenti e accumulando perdite per centinaia di milioni di dollari.
La rinascita del settore: Nintendo e la nuova era dei videogiochi
Quando sembrava che il mercato delle console fosse destinato a scomparire, un’azienda giapponese intervenne per cambiare le sorti del settore. Nintendo, che fino ad allora era nota principalmente per i suoi giochi arcade, lanciò la sua console domestica, il Nintendo Famicom (noto al di fuori del Giappone come Nintendo Entertainment System, o NES), nel 1983.
La strategia di Nintendo fu radicalmente diversa da quella di Atari. Invece di inondare il mercato con un numero enorme di giochi, Nintendo adottò un approccio più controllato, limitando il numero di giochi che potevano essere rilasciati ogni anno e introducendo misure per garantire la qualità dei titoli. Inoltre, Nintendo sviluppò un sistema di licenze per gli sviluppatori di terze parti, permettendo loro di produrre giochi per la sua console solo se rispettavano rigide linee guida.
Questo approccio, unito all’uscita di giochi iconici come Super Mario Bros. e The Legend of Zelda, contribuì a riportare la fiducia dei consumatori nel mercato dei videogiochi. Entro la fine degli anni ’80, il settore videoludico si era completamente ripreso dalla crisi, e Nintendo era diventata l’azienda leader del mercato, con oltre il 70% delle vendite di console negli Stati Uniti.
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